Mostra “I colori del Marmo”

White Carrara Downtown

Arte, cultura, spettacoli, food & wine experience:
dal 18 al 26 luglio, la città del marmo prediletto da Michelangelo ospita la quarta edizione di White Carrara Downtown, l’evento dedicato alle eccellenze artistiche, culturali e culinarie della città toscana.
La rassegna valorizzerà, a partire dal suo famoso marmo, l’identità culturale di Carrara e della sua gente attraverso un percorso museale urbano caratterizzato da luoghi d’arte, installazioni, mostre, laboratori artigianali aperti al pubblico, teatro diffuso, lirica, enogastronomia.

DI seguito due recensioni dei critici Antonio Giovanni Mellone e Maria Pina Cirillo riguardo all’esposizione:

“I colori del marmo”

Salutando gli organizzatori della coraggiosa risposta che questa collettiva carrarese oppone al Coronavirus, porgo i miei complimenti agli artisti che sarei stato lieto di incontrare personalmente e ai quali sono comunque vicino idealmente tramite l’amica Donatella Gabrielli, presidente di Artemisia. L’alto numero di adesioni è un fattore confortante in un momento così cruciale non solo per l’arte, ma anche per tutte le normali attività umane. A dispetto delle difficoltà e dei rischi, è bello constatare come l’arte si riveli, ancora una volta, uno dei mezzi più efficaci per sfuggire alla morsa della paura e dello sconforto, che l’isolamento forzato di questi mesi ha indotto in milioni di italiani. Ecco che, pur nel pieno rispetto delle norme di sicurezza, imposte dall’emergenza Covid, è possibile ritrovarsi intorno a un interesse comune. E voi lo state dimostrando onorevolmente.

E’ triste constatare come occorra una pandemia mortale perché il mondo si accorga dell’importanza del recupero di valori che avevamo rimosso cinicamente, per far posto a falsi idoli. E il mondo dovrebbe essere grato a quel particolare dono che gli artisti possiedono: vale a dire la capacità di sublimare istinti, pulsioni e persino fobie e incubi in espressioni creative. Solo gli artisti, difatti, possiedono il talento innato di ricreare la realtà, non così com’è, né come credono che sia, ma come vorrebbero che fosse. E’ questo l’elemento sfuggente che chiamiamo creatività ed è questa – e solo questa – l’essenza dell’arte. Essa, difatti, è forse l’unica attività umana che non obbedisce a scopi pratici, come sapeva bene Marcel Duchamp, ma solo al desiderio di elevazione che è prerogativa degli spiriti liberi e delle menti colte.

Di fronte alle sfide che vi vengono poste da una tela ancora vergine o da un blocco di marmo intonso, siete come guerrieri sul campo di battaglia, con le vostre paure, con le vostre incertezze. Ma anche con il coraggio di rischiare. E la vera sfida da vincere siete voi stessi. In arte non c’è egualitarismo, ma solo meritocrazia. Vincono cioè i migliori, quelli che hanno saputo conquistarsi il campo. Contro chi? Ebbene, contro nessun altro che se stessi. L’unico nemico da battere è la nostra paura di osare.

Ma esiste un avversario più pericoloso e più subdolo: si chiama vanità. Un nemico che spesso ci acceca, privandoci della capacità di misurare i nostri limiti e in definitiva di migliorarci. Ecco perché scopo primario di un consesso culturale come Artemisia è il confronto sereno, leale tra menti e cuori che cercano punti di incontro e non sciocche rivendicazioni di superiorità, che stonano sempre, sia che tale superiorità esista, sia che si tratti di mera presunzione. Siate quindi uguali negli intenti, ma diversi nella valorizzazione delle vostre singole identità, stili e modi di vedere la realtà. In arte la varietà è tutto. Come sostiene il professor Stefano Zecchi, in arte c’è differenza, non progresso. L’artista non “cerca la verità”, come critici improvvisati scrivono senza pudore nelle loro sciocche recensioni, accolte con favore da altri sciocchi. La verità appartiene semmai agli dei. Gli artisti di rango non se ne preoccupano: essi sanno di non poterla mai raggiungere ed è per questo che doti innate come talento, fantasia, spesso visionarietà sciamanica, consentono loro, unici tra tutti gli esseri umani, di ricrearsene una tutta propria e inimitabile.

E quando si entra a far parte di un’associazione multidisciplinare si ottengono tutti i vantaggi – come mi auguro avvenga per voi di Artemisia – derivanti da una comunione di intenti e di speranze. Un consesso fatto di tante verità. Dalla meravigliosa, inebriante, spesso travolgente energia creativa, che è, alla fine, l’unica verità accettabile. Ciascuno di voi, membri di Artemisia, è depositario di questo segreto e ciascuno di voi è tenuto a custodirlo gelosamente, come foste adepti di una setta iniziatica. E il vostro segreto si chiama: umiltà, collaborazione attiva, sostegno reciproco, scambio generoso di idee, spirito di sacrificio.

Anche a costo di urtare la suscettibilità di qualcuno, sappiate che non basta scambiarsi complimenti e carinerie su whatsapp, alle ricerca di autogratificazioni che non conducono ad alcuna crescita né tecnica né etica. Spesso, anzi, si finisce col perdere il senso della realtà. Possono servire quando un isolamento da paranoia ci spinge a cercare conforto nelle parole e se qualcuno ci dice “bravo” ben venga il complimento sincero. Ma non basta: occorre fare, non solo dire.

Non conosco la vostra storia, né il curriculum di ciascuno di voi. Troppo sporadiche sono state le occasioni di incontro e di conoscenza personale e approfondita, ma, da quel poco che ho visto, mi pare che Artemisia risponda – in un modo che comunque mi piacerebbe ratificare – a ciò che è ragionevole attendersi da un’associazione del genere. Mi affido a un cauto ottimismo, provenendo, ahimè, da una precedente esperienza negativa, che mi ha indotto ad abbandonare, per motivi di incompatibilità, la presidenza e la direzione artistica di un’associazione analoga. Ecco il motivo per cui vi esorto a non lasciarvi mai tentare da demoni come invidia, gelosia, superbia e accidia. Quella mia ex associazione è stata travolta e annientata da quei peccati mortali. Siate liberi nell’unità e uniti nella libertà. La vostra forza consiste in questo e vedrete intorno a voi sciogliersi come neve al sole tutti quei “concorrenti” che disprezzano la grande opportunità di crescere insieme e che vedono l’azione di gruppo come una forza militare da scagliare contro il nemico. Sappiate che hanno già perso in partenza.

Ho promesso all’amica Gabrielli una recensione riassuntiva delle vostre opere, nelle quali ho ravvisato con grande piacere alcuni aspetti assai interessanti, almeno a giudicare dai pochi invii digitali che ho ricevuto. Ne scriverò volentieri, ma con una doverosa premessa. Donatella sa bene quanto io sia refrattario a suonare la grancassa, com’è usanza di certi pseudo-critici locali di nostra infelice conoscenza. Ma sa anche d’avere davanti un critico che non lesina qualche tiratina di orecchie quando è funzionale alla crescita, anche in autostima, dell’artista. L’ipocrisia genera solo superbia e stupidità, perché di un artista contano le opere; esse sole devono parlare in sua vece: la sua biografia e il suo medagliere competono semmai allo storico dell’arte o al compilatore di cataloghi a pagamento. Al critico spettano invece due difficili compiti: l’accertamento della qualità di ciò che viene sottoposto al suo giudizio e – qualora gli venga richiesto e solo quando ne sia convinto – il sostegno all’artista che cerca di plasmare la propria identità: “Gnoti s’auton” (Conosci te stesso) era il monito inciso sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, una delle location greche dove religiosità e arte trovavano la massima espressione di quei tempi irripetibili.

Ora Artemisia ha questa magnifica opportunità: quella cioè che proprio in tempi tristi come i nostri, con tutte le limitazioni che la crisi impone, prendiate profondamente coscienza di voi stessi e dello straordinario potere che vi è stato donato; col potenziare il vostro spirito di combattività, il vostro senso di appartenenza e il vostro desiderio di bellezza. Quella bellezza che avete il dovere morale e civile di produrre e di far conoscere non solo a chi la capisce e la apprezza, ma, paradossalmente, proprio a coloro che non la capiscono e non la apprezzano.

Con affetto e con i miei più sinceri auguri di meritato successo

                                                                                                                                                      Antonio Giovanni Mellone


Entrare nel lavoro di un artista non è né facile né scontato, soprattutto quando essi sono tanto diversi uno dall’altro! Eppure è proprio questa diversità che ne segna il valore rendendoli unici e preziosi, che dà il senso profondo dell’operazione culturale messa in campo da questa Associazione. Artemisia, infatti, bypassando sterili bizantinismi teorici intende proporsi come fucina di idee, tutte diverse ma tutte interessanti e ugualmente degne di essere fruite, una sorta di hortus conclusus dell’anima in cui confrontarsi per crescere insieme con amicizia ed umiltà, un’alternativa autentica, libera e democratica ai vacui scontri dialettici, ai numerosi distinguo che impoveriscono l’Arte ed ai tanti inutili conflitti tra arte figurativa ed astratta, iperrealista e informale, polimaterica e concettuale. Ed è proprio questa ricchezza espressiva che caratterizza “I colori del marmo”, l’Evento con cui l’Associazione partecipa al White Carrara Downtown che, in questi giorni difficili, in cui la pandemia ha ridotto al minimo i rapporti sociali e ne ha addirittura cancellato molti, in cui la paura, l’angoscia, il dolore l’hanno fatta da padroni, ci rimette in gioco. Ed è stato subito evidente che tale scelta è vincente, forse la più idonea a sconfiggere lo spettro incombente di un isolamento forzato, sterile che porta ognuno a vedere l’altro come nemico o, almeno, come pericolo. Artemisia, insomma, si conferma come un laboratorio artistico in cui ciascuno porta, in rapporto alle proprie possibilità o scelte culturali, il proprio prezioso contributo, nella certezza che il confronto è spinta alla crescita, occasione di arricchimento. Le venti opere esposte, diversissime tra loro eppure ben integrate, anche grazie ad un allestimento molto curato e decisamente professionale, appaiono intriganti per idee, esplosioni cromatiche e complesse composizioni, ed invitano il fruitore ad infinite interpretazioni. I tagli e le sovrapposizioni di elementi materici, che si alternano a delicate cromie, a suggestive strutture evocanti un sofferto passato, a testine in plexiglass dallo sguardo ieratico conducono, al di là di ogni superficiale emozione visiva, ad una più profonda e suggestiva lettura. È una Collettiva che ci mostra l’impegno di tutti i soci dell’ Associazione e della sua presidente Donatella Gabrielli nell’elaborazione di una rilevante identità artistico-culturale e il suo lungo percorso nella costruzione di un modello comunicativo basato sull’interscambio, sulla collaborazione e sulla valorizzazione delle diverse individualità. Ma, prima di ogni cosa, la Manifestazione conferma la capacità di Artemisia di proporre un Mixage stimolante e gradevolmente provocatorio di artisti così differenti fra loro per formazione e scelte espressive, alcuni all’inizio di un percorso che si preannuncia interessante, altri nel pieno della loro maturità artistica. Ogni artista propone, così, il suo messaggio: alcuni nella certezza che solo entrando in sintonia con una visione serena della natura e dell’Arte, si arriva a stare bene con se stessi e con ciò che ci gravità intorno, altri coscienti che le forme d’arte più potenti ed evocative sono quelle in cui l’artista non ritrae la realtà ma la interiorizza, metamorfosandola e creando un mondo di segni significanti che rimandano ad una realtà altra, aprendosi a ciò che non conosciamo, indagando l’ignoto, senza remore né pregiudizi non mettendo alla base della propria arte semplicemente ciò che è certo, scontato, sicuro ma osando sperimentazioni, scelte artistiche, comunicazioni concettuali che non tarpano la creatività né ne sviliscono la forza.

Quando l”artista, comunque, al di là delle sue scelte stilistiche più o meno radicali, non riproduce ma testimonia il mondo interpretandolo egli, attraverso il suo sguardo, solleva i veli del conformismo e del prosaico e rende visibile l’invisibile. Solo allora l’arte diventa invenzione, stimolo culturale, emozione! E se per Picasso l’Arte è una menzogna che consente di arrivare alla verità, le opere in mostra, in un mondo in cui non esiste più nessuno certezza assoluta ma ogni valore si è relativizzato, cercano invece di trasmettere la propria idea di verità, un concetto non statico e perfetto, non prefabbricato ma frutto di autentiche e sentite scelte di vita, prima che di arte. La creatività si nutre di immaginazione, e l’immaginazione si nutre di mistero! Qualunque sia la strada scelta, non si può pretendere di trovare l’essenza delle cose attraverso uno sguardo distratto e superficiale perché, qualora ci si limitasse a ciò, non si potrebbe mai giungere ad afferrare il senso nascosto delle cose né il fil rouge che unisce in un tutto armonico ed originale ciò che ci circonda. Attraverso le opere esposte, i loro creatori ci avvertono che la vita va sempre vissuta pienamente perché, anche quando propongono un modello espressivo più pacato e aderente ai canoni dell’arte classica, essi ci avvertono che nulla è mai banale o scontato, ma soprattutto perché raffigurano la vita in tutte le sue sfaccettature: ora lieta ora tragica, ora incanalata lungo la via di una serena quotidianità ora oscillante sull’orlo di un baratro senza fondo. Nel passare tra opere così diverse tra di loro sia dal punto di vista contenutistico che stilistico, acquistiamo consapevolezza della complessità sia della società che del nostro stesso Io e del nostro vivere immersi in un mistero che scopriamo giorno per giorno, tra dubbi ed incertezze. È un messaggio di speranza, tanto più forte quanto più viviamo questi tempi tempestosi.

                                                                                                                                        Maria Pina Cirillo

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